Proprio a me

Proprio a me è una serie di Selvaggia Lucarelli. Un podcast che tratta il delicatissimo e poco conosciuto tema delle dipendenze affettive e delle relazioni disfunzionali.
Ci sono amori felici, amori infelici e poi ci sono storie che, come certi quadri appesi, tutti vedono storti, tranne l’abitante della casa. Storie che hanno nulla a che fare con la felicità e soprattutto con l’amore.
L’autrice apre il podcast raccontando la sua storia. Si considerava una donna forte, una che non lasciava scoperto il fianco e si è ritrovata invischiata in una relazione tossica, che alternava all’estasi, il buio più nero. Quattro anni di dipendenza affettiva che hanno minato la sua autostima.
Seguono altri racconti personali, molto diversi tra loro, ma con dei tratti comuni.
L’ultimo episodio è quello su cui vorrei soffermarmi. Ad intervenire è la Psicologa Ameya Gabriella Canovi, che delinea un quadro molto chiaro. La dipendenza affettiva è ben diversa dall’amore infelice. Si ripete uno schema. Il rapporto diventa eccessivo, quasi totalizzante. Appaiono dei segnali, si percepisce un crack a cui non si fa attenzione, che può essere la gelosia, uno schiaffo, comunque qualcosa di anomalo. C’è un senso costante di stare sulle montagne russe.
Da una parte ci sono i manipolatori, o narcisisti, che si insinuano in momenti complessi di vita. Su sei racconti, tre si svolgono a seguito di una separazione ed uno in un caso di sofferta endometriosi. Dall’altra parte ci sono dei portatori sani di una fragilità, spesso ben nascosta. Sono due calamite che si attraggono. Si vive una sorta di incantesimo.
Perché si cade in una simile trappola? L’infanzia conta moltissimo. C’è stata una mancanza, che ha fatto sì che nell’individuo scorresse un fiume carsico: un pensiero negativo su sé stesso, latente, che rimane ben nascosto, fino a quando non si incontra la persona X che lo porta alla luce.
Donne forti e sicure, contrariamente a quanto si possa immaginare, spesso rimangono irretite perché diventano tenaci nell’intento di far andare bene le cose. La Dott.ssa Ameya Gabriella Canovi tira in mezzo anche lo Hybris, concetto della mitologia greca, in cui l’uomo sfida gli Dei.
Una domanda rivelatrice che la dottoressa pone è “Hai la sensazione di dire da un momento all’altro la parola sbagliata? Hai un senso di tragedia imminente?”. In queste relazioni, infatti, non vi è un momento di serenità e, se c’è, si accorcia sempre di più.
Il ciclo della dipendenza affettiva somiglia a quello delle sostanze. C’è un disagio, craving, poi il contatto, il consumo, un momento di appagamento, che è sempre più breve e poi, di nuovo, le sensazioni negative. Si finisce per vivere sempre nell’infelicità. Tutti lo vedono, tranne il diretto interessato.
Quanto sono pericolose queste relazioni? Moltissimo. Dopo le montagne russe, c’è una fase di degrado. Freud direbbe Eros e Thanatos. Le pulsioni dell’individuo, uno verso la vita ed uno verso la morte. In queste storie infatti c’è moltissima sofferenza, perché si vive una fase regressiva.
E come ci si salva? Il momento di svolta avviene con il prevalere dell’Eros, non per l’altro, ma per sé stesso. Una goccia salvifica di amor proprio. Cade così la proiezione, si sgretola l’immagine dell’altro.
Importantissimo è l’aiuto di un professionista, si inizia così a dare un nome a ciò che accade e a riconoscere i pensieri disfunzionali. Ci si prende cura di sé e si ricostruisce la propria autostima. È necessaria infatti una risignificazione della propria felicità e della propria ferita iniziale, che non scompare, ma non governa più la tua vita.
Si impara che una relazione sana altro non è che un percorso di valle, non ci sono picchi, né la necessità di guadagnarsi qualcosa ed è fatta di confini, visti e rispettati.

Fondatrice ed ideatrice creativa di unamammaperamica