CONVIVENZA DI FATTO E CONTRATTO DI CONVIVENZA

CONVIVENZA DI FATTO E CONTRATTO DI CONVIVENZA

Avv. Sabrina Balzola

Quando Ida mi ha chiesto di scrivere un articolo per il suo gettonatissimo blog ho subito mentalmente declinato l’invito. Ho sempre e solo scritto atti giudiziari e un articolo di dottrina proprio non mi pareva nelle mie corde…

Poi a ben pensarci e dopo qualche insistenza della mia cara amica, mi sono detta… perchè no.

Ed allora eccomi qui a parlarvi di un argomento assolutamente in “voga”, quello della convivenza di fatto e dei contratti di convivenza.

E’ infatti di recente approvazione ed entrata in vigore la legge n. 76/2016 (Legge Cirinnà) che riconosce e regolamenta i rapporti tra i conviventi di fatto e disciplina i contratti che costoro possono stipulare, vale a dire i contratti di convivenza.

Il presupposto da cui tutto si origina è la condizione di “convivenza”, vale a dire quella che riguarda due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, che non siano vincolate al contempo da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile (quest’ultima a sua volta disciplinata dalla prima parte del medesimo testo normativo). Ciò che risulta “rivoluzionario” in primis è la possibilità di formalizzare davanti alla legge la convivenza di fatto effettuando una dichiarazione all’anagrafe del Comune di residenza; dichiarazione che dovrà essere sottoscritta di fonte all’ufficiale d’anagrafe o inviata tramite fax o per via telematica; così sarà possibile per i dichiaranti ottenere il CERTIFICATO DI STATO DI FAMIGLIA. E’ utile segnalare che tale dichiarazione non è obbligatoria per i conviventi, ma in assenza della medesima non si potrà godere dei diritti propri delle convivenze di fatto “formalmente registrate”. 

Veniamo quindi all’analisi di quali sono tali diritti. Dal punto di vista del rapporto personale, la novella introduce tre fondamentali DIRITTI DEL CONVIVENTE:

  • il diritto di visita in caso di malattia o ricovero di uno dei due, nonché il diritto ad accedere alle informazioni “cliniche”, alla stregua del coniuge (comma 39);
  • il diritto di designare l’altro convivente quale proprio rappresentante (mediante atto scritto autografo o alla presenza di un testimone). Ciò determinerà la possibilità del rappresentante di prendere decisioni sia in materia di salute, qualora il rappresentato divenga incapace di intendere e di volere, sia in materia di donazioni di organi, modalità di trattamento del corpo e celebrazioni funerarie (comma 40);
  • il diritto a nominare il convivente quale proprio tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora ne ricorrano i presupposti (comma 48). Ciò peraltro in accordo, da ultimo, con la legge n. 219/2017 sul cd “testamento biologico”, che ha istituito le disposizioni anticipate di trattamento (DAT).

Dal punto di vista patrimoniale, sono anche qui tre i fondamentali diritti riconosciuti, che poi potranno essere integrati, dettagliati e attagliati, alla coppia in questione, dai “contratti di convivenza”:

  • il diritto ad essere preferiti nelle graduatorie per l’assegnazione delle case popolari, nell’ipotesi in cui l’appartenenza ad un nucleo famigliare costituisca un titolo di preferenza (comma 45);
  • il diritto a lavorare nell’azienda famigliare dell’altro convivente, partecipando agli utili ed agli incrementi (anche in merito al valore dell’avviamento), in misura proporzionale alla qualità ed alla quantità del lavoro svolto (si veda in merito l’introduzione del nuovo articolo 230 ter del Codice Civile, che ha posto fine alla (ingiusta) inestensibilità della disciplina di cui all’art. 230 bis cc al convivente more uxorio, come evidenziato dai giudici della Corte dei Cassazione nel 2006. Unica pecca, l’assenza della prelazione in caso di alienazione dell’azienda famigliare);
  • il diritto a ricevere il risarcimento del danno nel caso in cui l’altro convivente muoia per una causa derivante da fatto illecito di terzi ai sensi dell’art. 2043 del Codice Civile (comma 49).

Ancora più innovativo rispetto al panorama legislativo precedente è la possibilità per i conviventi di formalizzare tra i medesimi un “CONTRATTO DI CONVIVENZA”, che permette alla coppia di disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune. Nuovamente, non vi è alcuna obbligatorietà in merito, ma il documento – qualora esistente – permette ai conviventi di stabilire regole che saranno ufficialmente valevoli e poste a loro tutela.

Il contratto suddetto, così come le sue modifiche e la sua risoluzione, richiede la forma scritta a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato, che ne devono attestare la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico. Per poter poi rendere tale contratto opponibile ai terzi, il notaio o l’avvocato che hanno ricevuto l’atto, devono trasmetterne copia entro 10 giorni dalla stipula al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe, in conformità al regolamento anagrafico della popolazione residente (comma 52).

Venendo ai contenuti del contratto, il comma 53 stabilisce che esso deve indicare la residenza della coppia, le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle capacità ed alle sostanze di ciascun convivente, oltre che il regime patrimoniale dei conviventi (di regola la comunione legale, ma modificabile in qualunque momento).

Può poi contenere esplicitamente la designazione reciproca quale rappresentante, secondo le indicazioni date sopra e quale tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora ce ne sia necessità.

Merita una breve digressione l’impossibilità riconosciuta ai conviventi di fatto di costituire un fondo patrimoniale (che non è altro che una sorta di patrimonio segregato, destinato alla realizzazione di interessi famigliari), riservato invece alle coppie sposate in matrimonio e agli uniti civilmente.

In realtà, è possibile ovviare alla mancanza utilizzando altre metodologie quali “il vincolo di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela ex art. 2645 ter del Codice Civile” oppure il trust, disposizioni queste che possono venire disciplinate e trovare spazio all’interno dei contratti di convivenza, ma che – merita essere evidenziato – esistevano già prima della entrata in vigore della Legge Cirinnà.

Un breve cenno merita, a mio avviso, la disciplina del trust, ove un soggetto (settlor o disponente) trasferisce determinati beni ad un altro soggetto (trustee) perchè questo li gestisca e, allo scadere di un certo termine (che spesso coincide con la morte del trustee), li trasferisca a sua volta al beneficiario, il quale ne acquista definitivamente la proprietà. Il trust garantisce quella che i più chiamano “separazione bilaterale perfetta”, vale a dire l’impossibilità per i creditori personali dei conviventi di aggredire i beni costituiti in trust, mentre impedisce ai creditori del trust di soddisfarsi de residuo sul patrimonio personale di ciascuno dei conviventi.

La legge disciplina poi le ipotesi di nullità del contratto di convivenza:

  • presenza di vincolo matrimoniale, unione civile o altro contratto di convivenza;
  • assenza della convivenza di fatto;
  • persona minore di età;
  • persona interdetta giudizialmente;
  • condanna per omicidio consumato o tentato verso l’altro convivente.

Al contempo, il contratto si risolve, vale a dire viene meno:

  • per accordo delle parti;
  • per recesso unilaterale (per il quale la normativa prevede una modalità precisa a carico del professionista che ha ricevuto l’atto. In caso di recesso, se la casa famigliare era nella disponibilità esclusiva di chi recede, la dichiarazione deve contenere – a pena di nullità – il termine a novanta giorni per lasciare l’abitazione);
  • per matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona;
  • per la morte di uno dei due

Da ultimo, alla cessazione della convivenza, se il convivente versa in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, ha diritto di ricevere dall’altro gli alimenti  per un periodo proporzionale alla durata della convivenza, nella misura determinata dall’art. 438, II comma, c.c.. Nell’ordine degli obbligati ai sensi dell’art. 433 c.c., l’obbligo del convivente è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle.

Un’ultima annotazione meritano i profili successori tra i conviventi.

Purtroppo la legge non ha innovato in merito, con evidente discrasia e sperequazione – a parere della scrivente –  rispetto alle disciplina dell’unione civile (tra persone dello stesso sesso) per le quali è previsto il diritto alla legittima. Lo stesso dicasi per la successione ereditaria.

Al contempo però la dottrina, già prima della introduzione della Legge Cirinnà, ha elaborato alcune forme negoziali inquadrabili nell’ambito dei negozi “trans morte”, vale a dire capaci di produrre effetti dopo la morte di uno dei contraenti, senza però al contempo violare il divieto dei patti successori. Uno tra tanti, proprio il trust, classificabile con contratto a favore di terzi con effetti post mortem.

Altro tipico esempio di negozio trans morte è quello previsto nel caso in cui i conviventi intendano acquistare un immobile in comproprietà. Affinchè alla morte di uno di essi l’altro rimanga titolare esclusivo dell’intero immobile, ben possono acquistare ciascuno la nuda proprietà della metà della casa e l’usufrutto dell’altra metà; così alla morte del primo, l’altro rimarrà titolare in piena proprietà di metà casa e usufruttuario dell’altra metà.

A prescindere infine da quanto sopra in merito a tali forme negoziali, il legislatore della Legge Cirinnà ha comunque introdotto tre diritti successori, assenti in precedenza in capo ai conviventi e che ben possono trovare spazio all’interno del contratto stipulando:

  • diritto di abitazione della casa di comune residenza, con le specificazioni previste in merito alla presenza o all’assenza di figli minori, autosufficienti, e/o disabili (comma 42);
  • diritto di succedere nel contratto di locazione (comma 44);
  • diritto al risarcimento in caso di fatto illecito (di cui abbiamo già trattato sopra).

All’occorrenza, credo sia utile rivolgersi ad un professionista affinchè possa vagliare il caso concreto e redigere il contratto che più si attaglia alle esigenze dei conviventi.

Ida Vanacore

Fondatrice ed ideatrice creativa di unamammaperamica 

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